Metafore fredde

Alcune riflessioni sull’uso delle metafore nel giornalismo. Con due premesse.

La prima premessa è questa citazione di Giacomo Leopardi, tratta dallo Zibaldone (1702), sulla necessità della metafora: “La massima parte di qualunque linguaggio umano è composto di metafore, perché le radici sono pochissime, e il linguaggio si dilatò massimamente a forza di similitudini e di rapporti. Ma la massima parte di queste metafore, perduto il primitivo senso, son divenute così proprie, che la cosa ch’esprimono non può esprimersi, o meglio esprimersi diversamente”.

La seconda è che queste riflessioni sono state stimolate dal lavoro di alcuni studenti a proposito della retorica in ambito giornalistico. Le citazioni sono brani tratti da articoli sull’alluvione delle Cinque Terre nell’ottobre 2011. 

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Il giornalismo è una grande macchina di parole. Un giornalista, in un certo senso, per lavorare ogni santo giorno è costretto a dire e a raccontare. Così come un ciclista è costretto a pedalare.  

Questo rende quello giornalistico un linguaggio ad altissima responsabilità sociale. Col tempo, è l’informazione parlata e scritta a dare popolarità e valore alle parole, ai modi di dire, e quindi anche di pensare. Non è vero, a lungo andare, che i giornali parlano la lingua dell’uomo della strada. È vero il contrario: il gergo che noi tutti abbiamo in comune è sempre più quello dominante dell’informazione. Questa è una delle ragioni per cui l’informazione fa inevitabilmente ricorso alla metafora: per cercare di dire cose sempre nuove; oppure, al contrario, per esprimere su eventi nuovi pensieri assodati. Ma è anche la ragione per cui le metafore del giornalismo raramente  hanno la vivacità e la freschezza di quelle della poesia. 

1. La religione

“Macché, ci vorrebbe una mano divina,dopo che la bocca dell’inferno ha inghiottito, in poche ore di pioggia, un territorio che è più grande di una regione” (Il Secolo XIX, 27 ottobre 2011).

“Pezzi di vita scaraventati tutti intorno, come dopo una gigantesca esplosione. Un inferno, immerso in uno strano silenzio” (La Repubblica, 27 ottobre 2011).

Il ricorso alla religione nelle metafore (inferno, paradiso, mano divina, provvidenza, resurrezione, e via di seguito) da un lato è del tutto ovvio: nella nostra cultura, infatti, la religione è un grande “magazzino” di miti, racconti e immagini da cui attingere. Dall’altro, il ricorso a temi religiosi è un indizio della nostra umana impotenza e e della nostra piccolezza: gli eventi che ci lasciano attoniti,  le catastrofi naturali, sono più grandi di noi. Noi siamo in grado di spiegarli con la scienza, ma ci sfugge la ragione del loro accadere. La ragione, allora, può essere spiegata solo con il ricorso al soprannaturale.

2. La guerra

“Sono crollati due ponti, la piazza dalla quale partiva la strada che collegava ogni frazione è stata cancellata, e il monumento dei partigiani ancora intatto sembra quasi una bandiera bianca agitata di fronte all’avanzata del fango” (Il Corriere della Sera 29 ottobre 2011).

“Un cannone d’acqua e fango puntato contro le città e le cose”  (Il Corriere della Sera, 28 ottobre 2011)

La guerra è orrore. Ma è anche stata per secoli l’unico modo con cui l’umanità ha affrontato e risolto i propri conflitti. La guerra fa paura, ma è una tecnica, una strategia, a volte anche un progetto. Un modo per mettere a posto ogni problema, per purificare razze, economie, poteri. Così, i riferimenti bellici nella metafora sono sempre ambigui. Con la guerra si vince e si perde. Con la guerra si conquista e si distrugge. La guerra è distruzione e ricostruzione.

3. La natura

“Ci sono fiumi violentati e ora divenuti feroci. Ponti e strade mutilate. Boschi che vomitano acqua e sassi” (Il Corriere della Sera, 26 ottobre 2011).

“Il suo pianto disperato è quello di un angolo di paradiso che è stato violentato dalla natura” (Il Secolo XIX, 26 ottobre 2011).

La natura è madre e matrigna, è questa è già una metafora. Nelle metafore la natura ha caratteri umani perché così ci illudiamo di poterla meglio comprendere comprendere. Come un umano, la natura si ammala, inghiotte, si risveglia, abbraccia. Noi la prendiamo a modello, ma poi la interpretiamo secondo un modello del tutto umano. Il fatto è che gli eventi naturali, a differenza delle azioni umane, non dipendono da intenzioni e decisioni. Seguono il corso dell’evoluzione. Ma questo noi, forse, non riusciamo ad accettarlo. O non vogliamo. Perché ci sentiremo ancora più impotenti.

4.

Ogni metafora – e le metafore sono il fondamento del linguaggio – contiene più della propria interpretazione. Una metafora viva, come direbbe Ricoeur, è «linguaggio è in festa». In festa perché fecondo, come un punto al quale si arriva e dal quale si riparte. Ma non tutte le metafore sono “vive”. Prima o poi – e anche questa è una metafora – molte appassiscono, diventano come i fiori finti: sempre a disposizione, ma senza profumo. Purtroppo, il linguaggio giornalistico più che coltivarle, le metafore, le prende bell’e pronte dal congelatore. Metafore fredde.

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